Il cardiogenetista Peter Schwartz, direttore del Centro Aritmie Genetiche dell’Auxologico e scienziato di fama internazionale, è al centro di un giallo che la ricerca medica sta risolvendo in un acceso confronto con il sistema giudiziario.
Sta facendo discutere da anni, in tutto il mondo e ora pure in Italia la vicenda di Kathleen Folbigg, che in Australia è stata condannata a 30 anni di carcere con l’accusa di avere soffocato i suoi quattro figli prima che avessero compiuto 2 anni. Kathleen Folbigg ha sempre sostenuto la propria innocenza, dichiarando costantemente che la scomparsa dei poveri piccoli era da attribuirsi a una morte infantile improvvisa, quindi a cause naturali. Nonostante ciò, l’accusa e i periti di parte non hanno preso in considerazione tale possibilità e i media, forti di una vita tragicamente travagliata della Folbigg, funestata addirittura dalla morte della madre uccisa da suo padre, non hanno esitato a bollarla come la “peggiore serial killer della nazione”. Ora però la scienza, e in particolare, la scienza medica potrebbe ribaltare la sentenza. E al centro della vicenda che coinvolge 90 eminenti scienziati per sostenere l’innocenza della Folbigg, c’è un italiano che ha avuto un ruolo determinante nel chiarire la vicenda attraverso una ricerca e la relativa pubblicazione apparsa di recente su EP Europace, una delle riviste della prestigiose pubblicazioni Oxford Academic, dedicata al trattamento e alla fisiopatolgia delle aritmie cardiache, organo ufficiale della European Society of Cardiology. Lo scienziato italiano in questione è il prof. Peter Schwartz, citato da un recente articolo del New York Times dedicato alla vicenda come “cardiologo e genetista cardiaco leader a livello mondiale a Milano”, oggi direttore del Centro per lo Studio e la Cura delle Aritmie Cardiache di Origine Genetica e del Laboratorio di Genetica Cardiovascolare dell’Istituto Auxologico Italiano IRCCS di Milano. Si tratta di una vicenda molto complessa e articolata che, con l’aiuto del prof. Schwartz abbiamo cercato di ricostruire.
Nel maggio del 2019 il prof. Peter Schwartz è stato contattato da una immunologa australiana, la prof.ssa Carola Garcia de Vinuesa, che chiedeva la sua opinione su un caso di presunto infanticidio nel quale una donna, Kathleen Folbigg, era stata condannata a 30 anni di carcere (di cui 17 già scontati) per aver ucciso i suoi 4 figli poco più che neonati. La donna si è sempre dichiarata innocente. Due sono i motivi che hanno spinto la Prof.ssa Vinuesa a contattare il prof. Schwartz: è considerato una autorità mondiale e assoluta in tema di aritmie genetiche, alla luce del fatto che da 50 anni si occupa di SIDS (morte in culla) e da quasi 20 anni con altri ricercatori ha dimostrato che circa il 10% di questi casi è dovuto alla sindrome del QT lungo. L’aspetto fondamentale e pratico della scoperta è che il pericolo cardiaco dei piccoli può essere identificato con un ECG (elettrocardiogramma) nel primo mese di vita e che, soprattutto, queste morti possono essere evitate. Inoltre, il gruppo di ricerca capitanato dal prof. Schwartz (con il contributo fondamentale di Lia Crotti e di un partner americano di lunga data, Al George) nel 2013 ha scoperto che mutazioni sul gene della Calmodulina, molto rare, causano un alto rischio di morte improvvisa nell’infanzia.
«Su questa base», commenta il prof. Peter Schwartz, «io e Lia Crotti abbiamo creato, con sede nell’Istituto Auxologico Italiano, il Registro Internazionale della Calmodulinopatie con già oltre 100 pazienti arruolati. La vicenda di Khathleen Folbigg mi ha subito colpito: la donna era accusata di infanticidio e due dei suoi bambini avevano una mutazione proprio sul gene della Calmodulina! Per questa ragione mi è stato chiesto di contribuire ad uno studio sulle caratteristiche di questa mutazione (eseguito nel laboratorio di un ricercatore danese, Michael Toft Overgaard) e a scrivere il lavoro scientifico che ne sarebbe seguito. Come facevo a sottrarmi a questa ricerca, anche per la sua dimensione umana oltre che scientifica?».
Ora, se gli scienziati hanno dimostrato che effettivamente almeno la morte di due dei quattro bimbi può essere attribuita a mutazioni genetiche, il caso è risolto e la donna può essere scagionata dalle accuse così pesanti e gravi che si sono abbattute sulla sua vita? In realtà, si apre un giallo nel giallo, dato che la vicenda è in divenire, se ne parlerà di certo ancora a lungo ma, a questo punto il ruolo della scienza sarà determinante. Anche alla luce della petizione firmata da 90 scienziati di fama internazionale, tra cui Peter Schwartz. E in tutta questa vicenda, dai contorni da “medical thriller”, qualcuno non ha fatto tutto il suo dovere in scienza e coscienza come ci spiega lo stesso Schwartz.
«Le nostre conclusioni», commenta il prof. Peter Schwartz, «sono state che la presenza in due dei 4 bambini morti – entrambi deceduti nel sonno – di una mutazione ereditata dalla madre sul gene della Calmodulina, fa ragionevolmente pensare che questa sia stata la causa della loro morte improvvisa. Queste mutazioni possono associarsi a morte cardiaca improvvisa specialmente nei primi anni di vita. La madre aveva avuto episodi di perdita di coscienza quando era giovane. Negli altri due bambini è stata trovata una mutazione associata, in studi sperimentali, a forme mortali di epilessia; su questo non posso pronunciarmi. Quando si trova una mutazione sul gene della Calmodulina è pratica corrente considerare questa la causa della morte. È evidente quindi che i nostri dati, sperimentali e clinici, fanno sorgere enormi dubbi sulla colpevolezza della madre almeno per quanto riguarda la morte di 2 dei 4 bambini. Per gli altri, prove di colpevolezza non esistono: è stato il quadro complessivo delle 4 vittime a far concludere ai giudici che si è trattato di infanticidio. Devo aggiungere qui che al giudizio di colpevolezza ha molto contribuito un “esperto” dell’accusa che ha dichiarato a verbale che le morti associate a mutazioni della Calmodulina non avvengono mai nel sonno. Qui sono diventati fondamentali i dati del nostro Registro Internazionale (Eur Heart J 2019;40:2964-2975) che dimostrano come il 25% di queste morti avvengano proprio nel sonno. In altre parole l’esperto ha dichiarato il falso, nonostante non potesse non conoscere il nostro lavoro che era già stato pubblicato al momento della revisione del processo».