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Con il ferro nel cervello

Scoperto un accumulo di ferro nella corteccia motoria dei pazienti affetti da SLA: come la Risonanza Magnetica Nucleare può dimostrarlo e fornire un biomarcatore utile alla diagnosi precoce della malattia. Un successo dovuto anche a un team di giovani ricercatori composto da medici, ingegneri, psicologi e tecnici di radiologia.

Fino a non molti anni fa la diagnosi di SLA era affidata a superspecialisti della malattia, spesso per “esclusione”, cioè escludendo altre patologie degenerative del sistema nervoso, non esistendo analisi specifiche per la SLA. Oggi, con i progressi della ricerca biomedica, le cose stanno fortunatamente cambiando. La definizione di biomarcatori utili alla diagnosi della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) rappresenta un obbiettivo determinante per formulare una precoce e sicura diagnosi ed avviare al più presto il paziente alla terapia più corretta e personalizzata.

Con un contributo collaborativo del Policlinico di Milano, IRCCS Istituto Auxologico Italiano ed Università degli Studi di Milano ora siamo più vicini all’obbiettivo. La suscettibilità magnetica della corteccia motoria frontale dei pazienti affetti da SLA può essere misurata automaticamente e risulta alterata e correlabile con la sofferenza del I° motoneurone, uno dei due elementi responsabili della SLA accanto alla degenerazione del II° motoneurone.

«Il contributo di un gruppo di lavoro che si è affiatato negli anni – afferma il prof. Vincenzo Silani, professore ordinario di neurologia dell’Università di Milano e primario di neurologia dell’Auxologico – oggi si realizza con un prestigioso lavoro pubblicato dall’European Radiology che trova in un ricercatore molto valido del Policlinico di Milano, il dott. Giorgio Conte, primo autore del lavoro pubblicato. La SLA polarizza la nostra attenzione da anni e la ricerca di biomarcatori è stata spasmodica: la possibilità di eseguire oggi una Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) ed avere una informazione così rilevante accende la possibilità di una diagnosi precoce nonché la conferma diagnostica con un biomarcatore neuroradiologico alla portata di tutti».

«Negli ultimi anni abbiamo focalizzato la nostra attenzione sull’accumulo di ferro nella corteccia motoria dei Pazienti affetti da SLA – conferma il dott. Giorgio Conte. Questo fenomeno può essere studiato mediante tecniche avanzate di RMN, in particolare lo studio quantitativo della suscettibilità magnetica. Quello cha abbiamo dimostrato è che la variazione di suscettibilità magnetica, e quindi di accumulo di ferro, nella corteccia motoria dei pazienti affetti da SLA avviene in maniera eterogenea nei diversi quadri clinici, e correla fortemente con i segni di compromissione del I° motoneurone. Nell’immediato presente questi risultati potrebbero incoraggiare l’utilizzo di queste tecniche di imaging per selezionare i pazienti con SLA che potrebbero beneficiare dell’utilizzo sperimentale di farmaci chelanti del ferro in trial farmacologici. Nel prossimo futuro l’obbiettivo è quello di migliorare le nostre tecniche per individuare minime variazioni di suscettibilità magnetica, e quindi avere uno strumento per la diagnosi precoce di malattia. È chiaro che quest’ultimo obbiettivo è legato anche alla possibilità di un ulteriore sviluppo tecnologico delle apparecchiature di RMN. Il raggiungimento dei nostri obbiettivi – precisa il dott. Giorgio Conte – è frutto di una stretta collaborazione tra medici, ingegneri, psicologi e tecnici di radiologia, in particolare con l’ apporto dell’ingegnere Valeria Elisa Contarino che ha guidato l’analisi delle immagini in questa ricerca».

«Sia il dott. Conte, così come l’ing. Contarino, lavorano nel mio team – commenta il prof. Fabio Maria Triulzi, professore ordinario di neuroradiologia della Università degli Studi di Milano e direttore della neuroradiologia del Policlinico – a sottolineare come la collaborazione di giovani studiosi ci ha largamente aiutato nel raccogliere un risultato non solo di valore scientifico, ma anche pratico. La Risonanza Magnetica conferma la estrema versatilità delle possibili applicazioni, offrendo oggi anche un potenziale biomarcatore per il paziente nelle fasi più precoci di malattia: la più recente letteratura accredita, infatti, in modo sempre più convincente l’origine corticale della patologia».

«Ampio contributo è stato inoltre fornito – continua il prof. Silani – da una giovane specializzanda in neurologia, la dott.ssa Francesca Trogu, che ha creduto già da studente nel progetto e lo ha alimentato con energia sotto la supervisione della dott.ssa Claudia Morelli, neurologa di vasta esperienza dell’ Istituto Auxologico Italiano che largamente ha contribuito alla definizione clinica dei pazienti».

«La maggiore soddisfazione è avere visitato un paziente a cui la diagnosi di SLA non era stata sospettata – conclude il prof. Vincenzo Silani – fino a quando l’esecuzione di una RMN ha evidenziato la diversa suscettibilità magnetica corticale nel paziente che è stato quindi reindirizzato al neurologo inviante con il suggerimento di una indagine approfondita per SLA che poi è stata diagnosticata. Se ciò è vero, un esame relativamente veloce come quello indicato in questa ricerca, potrà aiutare ad orientare la diagnosi talvolta complessa di SLA anticipando nel tempo l’orientamento terapeutico più appropriato».